venerdì 27 febbraio 2009

Una domenica mondiale

Milano è - insieme a Madrid – l’unica città al mondo ad avere due squadre vincitrici della Coppa Intercontinentale. Un luogo perfetto, quindi, per organizzare un torneo riservato ai club che hanno sollevato almeno una volta il prestigioso trofeo. Da questa riflessione nacque, all’inizio degli Ottanta, il Mundialito, un evento organizzato da Canale 5 a cui parteciparono Milan, Inter, Penarol, Santos, Feyenoord, Flamengo, Indipendiente. E ospiti di lusso come la Juventus che, pur non avendo vinto all’epoca la Coppa Intercontinentale, garantiva un sicuro ritorno mediatico.

A oltre 20 anni dall’ultima edizione il Mundialito finalmente ritorna, e sempre nella sua sede “naturale”: all’ombra della Madonnina. L’iniziativa è dell’Old Subbuteo Club Milano Sud, che organizza un torneo ispirato a quello dell’epoca, che si terrà domenica 22 marzo, in via Zumbini 6, in zona Famagosta. Per tutta la giornata, old subbuteisti provenienti da tutta Italia - e anche dall’estero - si sfideranno per contendersi la coppa, una riproduzione dell’originale trofeo degli anni Ottanta. Ma anche per chi sarà eliminato sono previsti gadget-ricordo della partecipazione. Perché il “nuovo” Mundialito sarà soprattutto un’occasione per giocare e divertirsi insieme all’insegna del Subbuteo, una comune passione evergreen. Verde che come quei panni smeraldo che hanno fatto sognare, e continuano a farlo, intere generazioni.

Davide (Casciavit)

venerdì 20 febbraio 2009

Vite in punta di dito

Il Subbuteo è un gioco? No, è più corretto definirlo un collante generazionale, che ha fatto sognare e divertire noi ragazzi cresciuti negli anni Settanta e Ottanta. Lo sostiene, a ragione, Luca Ferrato, che ha curato il libro Vite in punta di dito (Boogaloo Publishing) composto da undici racconti, lo stesso numero dei giocatori che compongono una squadra di calcio e, quindi, anche di Subbuteo.
Molte delle storie del libro hanno un filo conduttore comune: si inizia con il ricordo della “scoperta” del Subbuteo, con un pizzico di nostalgia per il periodo dell’infanzia, caratterizzato da intere giornate trascorse “in punta di dita” sul magico tappeto verde smeraldo. Arriva poi con la crescita l’inevitabile fase del distacco, l’abbandono dell’aspetto ludico della vita, sostituito da nuovi interessi: in primis, le ragazze...
Il terzo momento giunge a distanza di decenni quando, da insospettabili padri di famiglia, si va più o meno casualmente alla ricerca delle proprie squadre, nascoste in mezzo alla polvere in cantina, per ritrovare con sorpresa inalterato tutto l’entusiasmo di una volta. Perché il Subbuteo è un po’ come la macchina del tempo: il suo tappeto verde e le sue inimitabili miniature colorate fanno ritornare improvvisamente ragazzini. Anche se magari si hanno più di 40 anni e mille problemi da risolvere ogni giorno.
Tra gli undici racconti del libro, tutti godibili, vanno ricordati perlomeno quelli di Luigi Bolognini, giornalista della Repubblica, Dante Cavalli e del moderatore del nostro Forum Claudio Bruno, autore anche della bella foto in copertina.
“Ma quel ragazzo che hai dentro tu non devi farlo crescere mai…”, cantava la PFM qualche anno fa. E, per seguire il consiglio della Premiata, cosa c’è di meglio di una partita a Subbuteo?
Davide (Casciavit)

mercoledì 11 febbraio 2009

Un calcio differente......

Carlos Da Silva, equilibrista palleggiatore

di Niccolò Nisivoccia

MILANO – A quindici anni, ogni sabato sera giocavamo a calcio sotto i portici dietro piazza San Fedele (siamo qui a Milano ma ambientiamo pure il ricordo in qualunque piazza San Fedele di qualunque città o paese d’Italia), il pallone era una lattina di coca cola e davvero davamo l’anima, per usare le parole del titolo di un bel libro di Giorgio Terruzzi su uomini e sport da poco pubblicato da Sperling & Kupfer. Oggi nessuno gioca al nostro posto sotto quei portici dando l’anima sudata dei propri quindici anni e se la realtà è la somma delle esperienze individuali – come la Storia lo è dei destini personali – dovremmo ammettere che è vero quello che si dice (lo ha detto Marcello Lippi, lo ha ridetto Michele Serra), cioè che nessuno gioca più per le strade, che il calcio ha perso questa dimensione di vera popolarità, di facilità, di immediatezza. E forse sì giocare per le strade è sempre più difficile e pericoloso, ma insomma siamo tutti anche più viziati, più pigri e istupiditi dalla televisione; e chi lo fa fare al ragazzino di quindici anni di sudare nella maglietta quando può andare in giro in motorino con il gel nei capelli, il giubbotto all’ultima moda addosso, i jeans larghi e le mutande di Dolce e Gabbana sotto i jeans ma l’elastico in evidenza, l’esempio di Costantino nella testa? Eppure poco lontano da piazza San Fedele – in corso Vittorio Emanuele, di fianco al Duomo, di fronte alla Rinascente – qualcuno che gioca per la strada c’è ancora e vale a dir poco la pena di andare a vederlo, ad ammirarlo e ad applaudirlo: è Carlos Da Silva, equilibrista palleggiatore senza trucco e senza inganno.
Carlos è brasiliano, ha quarant’anni ed è poliomielitico da quando aveva sei mesi. È dunque disabile e gira su una sedia a rotelle, veste la maglietta del Brasile e il giubbotto della squadra di San Paolo (la squadra della sua città, dove giocava Kakà), non appartiene alla generazione che ha inchiodato Moacir Barbosa al ruolo letale di capro espiatorio di quella tragedia che fu la sconfitta del Brasile contro l’Uruguay nella finale di Coppa Rimet del 1950 ma ricorda perfettamente Paolo Rossi perché appartiene alla generazione successiva, quella che dice che la seleçao del 1982 è stata la più forte di tutti i tempi e che non perdona all’Italia di aver impedito che questa semplice verità venisse consacrata come meritava, con la vittoria finale che invece ci eravamo presi noi. Oggi poi il più forte è Ronaldo, aggiunge Carlos: è Ronaldo che farà vincere il prossimo mondiale al Brasile, perché Ronaldo al mondiale non tradisce mai. E di Ronaldo Carlos ha lo stesso sorriso aperto, simpatico e trascinante di quando Ronaldo arrivò in Italia. La differenza è che non sappiamo se Ronaldo simpatico lo sia davvero, perché non lo conosciamo, mentre Carlos lo è moltissimo, per certo, e chiunque lo voglia può conoscerlo, lungo la strada.
Quando non è sulla sedie a rotelle, Carlos sta in piedi con le stampelle ed è con le stampelle che palleggia: con le stampelle, con la testa, con le spalle, con il pugno che le stampelle stringe. Siccome senza stampelle non sta in piedi, Carlos deve essere velocissimo fra un palleggio e l’altro perché una stampella poggi sempre a terra. Ecco perché Carlos è anche un equilibrista, ecco perché non c’è trucco e non c’è inganno. Ridendo, lui dice “sono brasiliano e tutti i brasiliani sono bravi con la palla”; ma bisogna andare a vederlo per capire che Carlos non è solo bravo, è fenomenale. La palla non cade mai, ma proprio mai. Gli chiediamo qual è il suo record di palleggi consecutivi e lui dice “venticinquemila”, che vuol dire tre ore a centotrenta palleggi al minuto; ma solo perché non ha mai provato a palleggiare più a lungo. Dice infatti che potrebbe palleggiare anche molto di più: potrebbe arrivare a cinquantamila palleggi consecutivi, che vorrebbe dire palleggiare per sei ore senza pause. Di più no, ma solo perché dopo sei ore chiunque sarebbe stanchissimo e nemmeno Carlos – in equilibrio ora su una stampella ora sull’altra e sempre immobile su se stesso – riuscirebbe più a stare in piedi e forse dovrebbe anche andare a fare la pipì. Dice poi che, solo con la testa, il suo record è di milleduecento palleggi, ma solo perché, dopo milleduecento palleggi, i muscoli del collo non li senti più. Dice infine che di una cosa è sicuro, che nessuno al mondo può aver fatto nella vita tanti palleggi quanti ne ha già fatti lui. E facciamo insieme un breve calcolo approssimativo e ne contiamo diciassette milioni: centotrenta palleggi al minuto, per sei ore al giorno, per duecento giorni lavorativi all’anno, per diciassette anni di lavoro e due stampelle nuove ogni anno e mezzo.
Sono appunto diciassette gli anni di lavoro di Carlos, da quando – laureato in chimica, non trovando lavoro in Brasile – decise di venire in Europa, quarantacinque dollari in tasca e nessuna lingua a disposizione oltre al brasiliano. Arrivò a Zurigo e in tre giorni aveva finito i soldi. Chiese in prestito poche monete a due suonatori di flauto, che non erano vestiti di cielo come i suonatori di flauto di De Gregori ma erano carne e ossa e quei soldi glieli prestarono, perché qualche volta la strada è anche solidale. Con quei soldi Carlos comprò un flauto e racimolò quanto bastava per restituire il prestito e mangiare per qualche giorno. Ma il flauto Carlos non sapeva suonarlo e capiva che i soldi che guadagnava suonando la gente glieli dava solo per compassione, mentre lui non voleva muovere a compassione ma voleva intrattenere e divertire. Fu così che gli venne in mente l’idea di usare le stampelle per palleggiare, come aveva fatto qualche volta da bambino o da adolescente in Brasile. Ed è da allora che Carlos palleggia e regala magie a chi lo incontra e di questo vive. Non solo in Italia (a Milano, raramente a Firenze), ma anche in Svizzera (dove è apparso in una pubblicità in televisione con Turkylmaz, che qualcuno ricorderà quando giocava nel Bologna), in Danimarca (dove la gente lo ha acclamato anche negli stadi), in Germania, in Svezia, in Finlandia, in tanti altri Paesi; ma è solo in Italia che nessuno ha mai parlato di lui. Oggi Carlos parla benissimo l’italiano, l’inglese e il tedesco, dorme in piccoli alberghi e pensioni, ogni tanto torna in Brasile dove vivono i suoi genitori, viaggia qualche volta in aereo, quasi sempre in treno. Ma non ci meraviglieremmo di incontrarlo lungo qualunque cammino, viandante a piedi sempre palleggiando.
Carlos appartiene a pieno diritto all’arte, alla letteratura, al cinema e alla vita vera: esiste davvero, ma potrebbe esistere anche in qualunque trasfigurazione fantastica e non ci meraviglieremmo neppure, finito il nostro incontro e mentre ricomincia a lavorare, di vederlo volare via, come un omino di Chagall. Invece no, rimane lì e già s’affollano persone che applaudono. Lui ha solo un timore, da quando un giorno in Svizzera, in un ristorante, incontrò un gruppo di calciatori brasiliani, fra cui Ronaldo e Leonardo: provarono tutti a palleggiare con le stampelle e nessuno ci riuscì tranne Ronaldo (in Europa, che Carlos sappia ci sono solo altri tre palleggiatori con le stampelle ma è lui ad aver insegnato loro il mestiere). Ci dice allora: “Che Dio conservi le gambe a Ronaldo, perché se no sono finito”. E riprende a palleggiare, meglio di Maradona.

lunedì 9 febbraio 2009

Il nostro neurone conosce la parola subbuteo...













Parafrasando un noto comico della trasmissione televisiva Zelig, possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che il neurone solitario che caratterizza la quasi totalità della popolazione maschile mondiale annovera nel suo ristrettissimo ma inestimabile vocabolario la parola subbuteo posizionata subito dopo due parole per lui molto importanti anche se per motivi diametralmente opposti, sesso e sfiga.

Questo termine, oggi quasi in disuso nelle nuove generazioni ha conosciuto il suo massimo splendore in quelle menti di chi ha visto i natali negli anni sessanta e primi settanta. Tale termine si è così radicato che ancora oggi quando si affaccia nelle loro menti ha la capacità di offuscare completamente ogni altro pensiero, il solitario neurone percepisce il colore, l’odore e la sensazione che il subbuteo trasmette cancellando ogni barlume di ragione e/o responsabilità, annientando tutto quello che viene già normalmente ritenuto superfluo, anche la difesa finale contro ogni ingerenza esterna caratterizzata dalla famosa parola in stile linea maginot “dopo” non trova più spazio lasciando semplicemente il soggetto catturato dal subbuteo in completa apatia davanti a qualsiasi richiesta effettuata dalle persone che lo circondano e tentano invano di sintonizzarlo su altre frequenze. A questo punto mogli, amanti, madri, sorelle, concubine non trovano alcun riscontro alle loro esternazioni, si sentono completamente impotenti davanti alla forza che il gioco inventato da peter Adolph esercita sul mononeurone di cui il maschio moderno è dotato.

Possiamo pertanto affermare che in natura e forse anche in laboratorio non esiste alcuna sostanza stupefacente che sia in grado di avere un effetto così dirompente sulla mente umana (maschile ovviamente) come il subbuteo, ecco il perché sulle confezioni del gioco dovrebbe far bella mostra di se la scritta “attenzione può creare dipendenza”.

Roberto
Magpies

Uno...due...tre....

Uno…due…uno…due..uno…palla persa. Sinteticamente questo lo schema tipico della mia azione. Purtroppo i risultati sul panno verde denotano ancora molto lavoro da fare, di tecnica, di tattica, ma dimostrano anche che l’idea di gioco, di quel gioco che allietava pomeriggi infiniti si è (re)impadronita della sua parte che credevo ormai sopita.
Invece no, basta poco; un colore verde brillante negli occhi e un omino di plastica colorata che ondeggiando, più o meno ordinatamente, incoccia un pallone che si pensava troppo lontano. Se poi riesce a portarlo al piede per pochi centimetri, l’ovazione mentale dei centomila prende forma e si materializza. Poco importa se si sbaglia il tocco successivo, l’attimo è conquistato e così i nostri immaginari tifosi.
Mi sono chiesto perché il Subbuteo e credo che la pietra angolare sia l’immaginazione che questo gioco stimola. Il Subbuteo preserva la fantasia e le chiede un supplemento d’orizzonte; le domanda di immaginare Puskas che serve Del Piero o l’indimenticabile Massimo Palanca che beffa Peter Shilton con uno dei suoi velenosi calci d’angolo. Nulla è precluso al giocatore di Subbuteo; un mondo si apre davanti a lui, un mondo fatto di condivisione, passione, gioco.
Come in tutte le cose c’è chi vince e chi perde, chi sorride e chi s’incazza, chi preferisce un modulo, chi un altro, ma quei dodiciminutipertempo infiammano i cuori riempiendoli della voglia di esserci.

Carlozzo (Osc Milano Sud)

Lasciateci ancora sognare
















Gazzetta del Subbuteo Osc Milano Sud



In un epoca in cui non è più necessario distinguere il calcio di un tempo da quello moderno, semplicemente perché il calcio così come è stato inventato non ha più ragione di esistere, lasciateci ancora sognare, non pretendiamo più nulla, non volgiamo più le partite la domenica tutte alla stessa ora, non vogliamo più la Coppa dei Campioni, non vogliamo più giocatori che invecchiano con la stessa maglia, non vogliamo più nulla perché non ha più senso sperare in un ritorno al passato, il businness ha creato un solco che non può più essere riattraversato; però una piccola richiesta concedetecela: per favore lasciateci sognare ancora.

Unica manifestazione che potrebbe ancora conservare un minimo di fascino old stile è il mondiale per nazioni, e allora nel nostro piccolo vogliamo esaltarne l’aspetto più intimo e umano. Una volta di più a venirci incontro è il caro vecchio panno verde, con le sue squadre dal sapore antico.
Nella sede dell’Osc Milano Sud, nasce così in sordina, senza fronzoli, una piccola competizione senza pretesa solo per passare una serata tra amici, persone che forse per la maggior parte si conoscono da poco tempo ma che la passione per questo gioco li rende più vicini di tanti anni di frequentazione.

I mondiali portano con se il fascino dell’evento, della rarità del momento (almeno fintanto che il sig. Blatter non decida di disputarli ogni due anni…) le nazionali che si presentano alla fase finale hanno per un istante la stessa importanza, che siano il grande Brasile o la piccola Costa D’Avorio non fa differenza, entrambe avranno il loro spazio…l’avventura mundial non la si può descrivere a parole, è come voler rappresentare un profumo, bisogna provarlo, sentirlo dal vivo per percepirne la forza, la fragranza.

Poche squadre hw/lw, qualche panno verde e molta fantasia ed entusiasmo possono contribuire a ritrovare quell’emozione che ogni 4 anni ritorna ad inizio estate riportando nella mente di ciascuno di noi vecchi ricordi delle passate edizioni, tempi andati , emozioni che si materializzano facendoci viaggiare in un passato vicino o lontano.
Con questo spirito scenderanno in campo compagini rappresentative dei cinque continenti, per sfidarsi in una edizione Mondiale, un piccolo omaggio a quella competizione che ebbe inizio nel lontano 1930 grazie ad un certo sig. Jules Rimet allora Presidente della Federazione internazionale Delle Associazioni Calcistiche.
Il mondiale di subbuteo che si disputerà potrebbe , in onore appunto del suo fondatore, mettere in palio nuovamente la coppa Rimet anziché quella odierna Fifa world cup al fine anche di fare l’occhiolino al carattere old del club e dei suoi partecipanti.
Nei prossimi giorni, informeremo i lettori sul formato della competizione e sulle compagini che vi prenderanno parte, ci riserveremo di dedicare un piccolo spazio ad alcuni cenni storici sulle squadre partecipanti.

E’ con immenso piacere, pertanto, che do appuntamento ai lettori nei prossimi giorni per ulteriori approfondimenti sulla competizione, nel frattempo buon old subbuteo a tutti voi amici vicini e lontani….
Roberto
(magpies)

venerdì 6 febbraio 2009

Il diavolo e l'acqua santa

Erano lì, fianco a fianco. Da una parte i videogame, i giochi senz’anima che hanno devastato intere generazioni, allontanando da quella che è la vera essenza del gioco: la manualità, la socialità, il piacere di stare insieme. Dall’altra Lui, il Subbuteo, da sempre è l’oggetto dei nostri desideri (sì, d’accordo, forse è meglio dire il secondo oggetto dei nostri desideri, perlomeno dall’adolescenza in poi…).Altro che derby, tifo contrapposto: qui si tratta proprio del diavolo e l’acqua santa. Inconciliabili, incompatibili.

Tutto si è svolto a novembre alla fiera Ludica a cui, quasi per caso, abbiamo partecipato come Associazione Amatori Old Subbuteo, con una buona rappresentanza del nostro club. Come è andata? La sfida con i videogame poteva sembrare impari, perlomeno in quanto a capacità d’attrazione dei più giovani. Eppure un po’ di effetto sorpresa ha giocato a nostro favore. Sì, certo, ad avvicinarsi sono stati soprattutto trenta-quarantenni alla ricerca di emozioni perdute, che guardavano i nostri campi da gioco come se avessero finalmente trovato il Santo Graal. E che ci osservavano, tra il divertito e lo stupito, come se fossimo dei bambinoni ibernati per anni e ora riemersi improvvisamente dal passato.

Ma la nota più positiva di Ludica 2008 è stato l’interesse dei più giovani: bambini, adolescenti. In molti si sono avvicinati - dapprima con timore, poi con entusiasmo - a quei tappeti verdi che li ammaliavano solo alla vista. E poi le squadre variopinte, la tecnica in punta di dita. Un mondo che per loro, abituati solo ai giochi elettronici, risultava del tutto nuovo.

Di qui la proposta: perché non organizzare, nell’OSC Milano Sud, delle giornate dedicate ai bambini? Si potrebbero fare piccoli corsi, tornei, iniziando magari con i nostri figli. O preferiamo, forse, che il Subbuteo resti solo un gioco per quarantenni, che poi diventeranno cinquantenni, sessantenni, settantenni (e qui inizio a toccare ferro, e non solo…) senza ricambio generazionale? Il rischio, tra qualche anno, è di diventare una sorta di circolo pensionati, pronto a sostituire bocce e briscola con miniature HW, LW e dintorni. Ci può stare anche questo, ci mancherebbe, ma perché non fare appassionare al “nostro” gioco anche i più giovani? La missione non è forse così impossibile come può sembrare…

Tanto per cominciare, la prossima occasione “divulgativa” è in già in calendario, questa volta nel quartiere cittadino di Fiera Milano, da 27 al 29 marzo, per Ludica 2009. Anche questa volta conviveranno forzatamente, per qualche giorno, il diavolo e l’acqua santa.

Prepariamoci a fare gli esorcisti…

Davide (Casciavit)