lunedì 9 febbraio 2009

Il nostro neurone conosce la parola subbuteo...













Parafrasando un noto comico della trasmissione televisiva Zelig, possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che il neurone solitario che caratterizza la quasi totalità della popolazione maschile mondiale annovera nel suo ristrettissimo ma inestimabile vocabolario la parola subbuteo posizionata subito dopo due parole per lui molto importanti anche se per motivi diametralmente opposti, sesso e sfiga.

Questo termine, oggi quasi in disuso nelle nuove generazioni ha conosciuto il suo massimo splendore in quelle menti di chi ha visto i natali negli anni sessanta e primi settanta. Tale termine si è così radicato che ancora oggi quando si affaccia nelle loro menti ha la capacità di offuscare completamente ogni altro pensiero, il solitario neurone percepisce il colore, l’odore e la sensazione che il subbuteo trasmette cancellando ogni barlume di ragione e/o responsabilità, annientando tutto quello che viene già normalmente ritenuto superfluo, anche la difesa finale contro ogni ingerenza esterna caratterizzata dalla famosa parola in stile linea maginot “dopo” non trova più spazio lasciando semplicemente il soggetto catturato dal subbuteo in completa apatia davanti a qualsiasi richiesta effettuata dalle persone che lo circondano e tentano invano di sintonizzarlo su altre frequenze. A questo punto mogli, amanti, madri, sorelle, concubine non trovano alcun riscontro alle loro esternazioni, si sentono completamente impotenti davanti alla forza che il gioco inventato da peter Adolph esercita sul mononeurone di cui il maschio moderno è dotato.

Possiamo pertanto affermare che in natura e forse anche in laboratorio non esiste alcuna sostanza stupefacente che sia in grado di avere un effetto così dirompente sulla mente umana (maschile ovviamente) come il subbuteo, ecco il perché sulle confezioni del gioco dovrebbe far bella mostra di se la scritta “attenzione può creare dipendenza”.

Roberto
Magpies

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