mercoledì 11 febbraio 2009

Un calcio differente......

Carlos Da Silva, equilibrista palleggiatore

di Niccolò Nisivoccia

MILANO – A quindici anni, ogni sabato sera giocavamo a calcio sotto i portici dietro piazza San Fedele (siamo qui a Milano ma ambientiamo pure il ricordo in qualunque piazza San Fedele di qualunque città o paese d’Italia), il pallone era una lattina di coca cola e davvero davamo l’anima, per usare le parole del titolo di un bel libro di Giorgio Terruzzi su uomini e sport da poco pubblicato da Sperling & Kupfer. Oggi nessuno gioca al nostro posto sotto quei portici dando l’anima sudata dei propri quindici anni e se la realtà è la somma delle esperienze individuali – come la Storia lo è dei destini personali – dovremmo ammettere che è vero quello che si dice (lo ha detto Marcello Lippi, lo ha ridetto Michele Serra), cioè che nessuno gioca più per le strade, che il calcio ha perso questa dimensione di vera popolarità, di facilità, di immediatezza. E forse sì giocare per le strade è sempre più difficile e pericoloso, ma insomma siamo tutti anche più viziati, più pigri e istupiditi dalla televisione; e chi lo fa fare al ragazzino di quindici anni di sudare nella maglietta quando può andare in giro in motorino con il gel nei capelli, il giubbotto all’ultima moda addosso, i jeans larghi e le mutande di Dolce e Gabbana sotto i jeans ma l’elastico in evidenza, l’esempio di Costantino nella testa? Eppure poco lontano da piazza San Fedele – in corso Vittorio Emanuele, di fianco al Duomo, di fronte alla Rinascente – qualcuno che gioca per la strada c’è ancora e vale a dir poco la pena di andare a vederlo, ad ammirarlo e ad applaudirlo: è Carlos Da Silva, equilibrista palleggiatore senza trucco e senza inganno.
Carlos è brasiliano, ha quarant’anni ed è poliomielitico da quando aveva sei mesi. È dunque disabile e gira su una sedia a rotelle, veste la maglietta del Brasile e il giubbotto della squadra di San Paolo (la squadra della sua città, dove giocava Kakà), non appartiene alla generazione che ha inchiodato Moacir Barbosa al ruolo letale di capro espiatorio di quella tragedia che fu la sconfitta del Brasile contro l’Uruguay nella finale di Coppa Rimet del 1950 ma ricorda perfettamente Paolo Rossi perché appartiene alla generazione successiva, quella che dice che la seleçao del 1982 è stata la più forte di tutti i tempi e che non perdona all’Italia di aver impedito che questa semplice verità venisse consacrata come meritava, con la vittoria finale che invece ci eravamo presi noi. Oggi poi il più forte è Ronaldo, aggiunge Carlos: è Ronaldo che farà vincere il prossimo mondiale al Brasile, perché Ronaldo al mondiale non tradisce mai. E di Ronaldo Carlos ha lo stesso sorriso aperto, simpatico e trascinante di quando Ronaldo arrivò in Italia. La differenza è che non sappiamo se Ronaldo simpatico lo sia davvero, perché non lo conosciamo, mentre Carlos lo è moltissimo, per certo, e chiunque lo voglia può conoscerlo, lungo la strada.
Quando non è sulla sedie a rotelle, Carlos sta in piedi con le stampelle ed è con le stampelle che palleggia: con le stampelle, con la testa, con le spalle, con il pugno che le stampelle stringe. Siccome senza stampelle non sta in piedi, Carlos deve essere velocissimo fra un palleggio e l’altro perché una stampella poggi sempre a terra. Ecco perché Carlos è anche un equilibrista, ecco perché non c’è trucco e non c’è inganno. Ridendo, lui dice “sono brasiliano e tutti i brasiliani sono bravi con la palla”; ma bisogna andare a vederlo per capire che Carlos non è solo bravo, è fenomenale. La palla non cade mai, ma proprio mai. Gli chiediamo qual è il suo record di palleggi consecutivi e lui dice “venticinquemila”, che vuol dire tre ore a centotrenta palleggi al minuto; ma solo perché non ha mai provato a palleggiare più a lungo. Dice infatti che potrebbe palleggiare anche molto di più: potrebbe arrivare a cinquantamila palleggi consecutivi, che vorrebbe dire palleggiare per sei ore senza pause. Di più no, ma solo perché dopo sei ore chiunque sarebbe stanchissimo e nemmeno Carlos – in equilibrio ora su una stampella ora sull’altra e sempre immobile su se stesso – riuscirebbe più a stare in piedi e forse dovrebbe anche andare a fare la pipì. Dice poi che, solo con la testa, il suo record è di milleduecento palleggi, ma solo perché, dopo milleduecento palleggi, i muscoli del collo non li senti più. Dice infine che di una cosa è sicuro, che nessuno al mondo può aver fatto nella vita tanti palleggi quanti ne ha già fatti lui. E facciamo insieme un breve calcolo approssimativo e ne contiamo diciassette milioni: centotrenta palleggi al minuto, per sei ore al giorno, per duecento giorni lavorativi all’anno, per diciassette anni di lavoro e due stampelle nuove ogni anno e mezzo.
Sono appunto diciassette gli anni di lavoro di Carlos, da quando – laureato in chimica, non trovando lavoro in Brasile – decise di venire in Europa, quarantacinque dollari in tasca e nessuna lingua a disposizione oltre al brasiliano. Arrivò a Zurigo e in tre giorni aveva finito i soldi. Chiese in prestito poche monete a due suonatori di flauto, che non erano vestiti di cielo come i suonatori di flauto di De Gregori ma erano carne e ossa e quei soldi glieli prestarono, perché qualche volta la strada è anche solidale. Con quei soldi Carlos comprò un flauto e racimolò quanto bastava per restituire il prestito e mangiare per qualche giorno. Ma il flauto Carlos non sapeva suonarlo e capiva che i soldi che guadagnava suonando la gente glieli dava solo per compassione, mentre lui non voleva muovere a compassione ma voleva intrattenere e divertire. Fu così che gli venne in mente l’idea di usare le stampelle per palleggiare, come aveva fatto qualche volta da bambino o da adolescente in Brasile. Ed è da allora che Carlos palleggia e regala magie a chi lo incontra e di questo vive. Non solo in Italia (a Milano, raramente a Firenze), ma anche in Svizzera (dove è apparso in una pubblicità in televisione con Turkylmaz, che qualcuno ricorderà quando giocava nel Bologna), in Danimarca (dove la gente lo ha acclamato anche negli stadi), in Germania, in Svezia, in Finlandia, in tanti altri Paesi; ma è solo in Italia che nessuno ha mai parlato di lui. Oggi Carlos parla benissimo l’italiano, l’inglese e il tedesco, dorme in piccoli alberghi e pensioni, ogni tanto torna in Brasile dove vivono i suoi genitori, viaggia qualche volta in aereo, quasi sempre in treno. Ma non ci meraviglieremmo di incontrarlo lungo qualunque cammino, viandante a piedi sempre palleggiando.
Carlos appartiene a pieno diritto all’arte, alla letteratura, al cinema e alla vita vera: esiste davvero, ma potrebbe esistere anche in qualunque trasfigurazione fantastica e non ci meraviglieremmo neppure, finito il nostro incontro e mentre ricomincia a lavorare, di vederlo volare via, come un omino di Chagall. Invece no, rimane lì e già s’affollano persone che applaudono. Lui ha solo un timore, da quando un giorno in Svizzera, in un ristorante, incontrò un gruppo di calciatori brasiliani, fra cui Ronaldo e Leonardo: provarono tutti a palleggiare con le stampelle e nessuno ci riuscì tranne Ronaldo (in Europa, che Carlos sappia ci sono solo altri tre palleggiatori con le stampelle ma è lui ad aver insegnato loro il mestiere). Ci dice allora: “Che Dio conservi le gambe a Ronaldo, perché se no sono finito”. E riprende a palleggiare, meglio di Maradona.

1 commento:

  1. Vedo Carlos quasi ogni sera tornando dal lavoro, lo vedo sotto il Duomo palleggiare con le sue stampelle, un Garrincha della strada, anche lui colpito dalla polio, ma sicuramente più fortunato su questo versante.

    Sono storie che bisognerebbe leggere più spesso, in un mondo che va di fretta e se ne frega di tutto.

    Roberto

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